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Microclima: l’origine dello Spazio Sacro.
Luca Mantovani
Elena Alfonsi
La ricerca fotografica si sviluppa a partire da una riflessione antropologica sul tema dell’origine del paesaggio come implicazione di una duplicità di significato, derivante dal gesto rituale dell’atto primo della cultura umana del seppellire e del piantare un seme, indicando la presenza dell’essere umano nella natura.
Riferendosi più segnatamente alla figura di René Girard, parlare dunque del paesaggio significa parlare dell’origine dell’uomo, dello spazio sacro, del permanere dei principi fondativi, dei valori e delle tipologie rappresentative della tradizione della cultura occidentale. È dunque nella illimitatezza della natura, che l’essere umano è chiamato a definire una misura, creando lo spazio esperienziale.
Un’operazione progettuale, quella proposta, attenta a far emergere i caratteri simbolici dei luoghi, ed enfatizzare il senso sacrale del paesaggio secondo un modello interpretativo, dove gli aspetti spirituali, architettonici e paesaggistici, si condensano in un misurato equilibrio spaziale. Una attenzione al confronto tra paesaggio e architettura, dove il costruito ritrova nuovamente, attraverso l’immagine fotografica, il suo completamento nella natura, nella relazione con il contesto. Le forme vegetali insieme alle tonalità del paesaggio, da quelle più estetiche a quelle selvatiche, registrano e lasciano trasparire le specifiche intensità dei luoghi, offrendo l’opportunità di rigenerazione dello sguardo. Costruire l’immagine a partire dall’indagine sul paesaggio e sugli effetti sensibili ed emozionali che la natura sa suscitare, diviene una particolare forma di conoscenza, ottenuta variando la dimensione e la scala degli oggetti rappresentati ed unificando la visione d’insieme. Si è così ricorso al concetto di soglia, di apertura al paesaggio, di sguardo periferico, per comprendere che lo spazio si evoca per frammenti, per condurre nuovamente attraverso l’immagine alla piena integrazione armonica tra l’ordine del nostro pensiero e l’ambiente naturale, generando un microclima visivo. Un modus operandi in cui la natura si trasforma in dispositivo ottico erogante emozioni plastiche, perché il paesaggio non può rimanere a distanza, nel regno della visione decorativa, ma deve essere percepito, reso visibile come elemento colonizzatore degli ambienti di vita dell’uomo. L’obiettivo è stato quello di conferire un sottile indice di realismo evocativo fatto di segrete risonanze con le armonie plastiche dei luoghi attraverso codici interpretativi della natura.
Interrogandosi su alcuni quesiti e punti chiave della modernità, ed in particolar modo sul significato dello spazio sacro e sui mutati rapporti tra architettura e natura nel processo storico, si è cercato di sottolineare lo stretto rapporto che si deve istituire tra forme e contenuti. Così il carattere dei luoghi gioca un ruolo fondamentale nelle immagini proposte, facendo della lettura stratificata del paesaggio il motivo cardine del percorso poetico, per formare una ecologia visiva dove le architetture sacre cercano il loro completamento nelle chiome arboree in primo piano o che trapelano dietro ad esse, nell’erba cresciuta, nei rampicanti che le coprono, nella fitta e alta vegetazione.
Uno spazio, quello rappresentato, in cui la natura addomesticata dall’uomo mostra anche la matrice originaria di ogni architettura. Si è preso dunque a riferimento, per un rinnovamento di metodi, linguaggi e procedure visive, alcune tra le architetture sacre contemporanee che punteggiano il paesaggio di pianura.
Il Progetto Fotografico è a cura del Critico Dott. Luca Panaro.
Il lavoro di Luca Mantovani inizia come fotografo documentarista e di architettura. La sua ricerca si concentra sul tema del significato dell'immagine, aspetto che affronta nella rappresentazione delle visioni urbane e paesaggistiche. Per lui la comunicazione dell'architettura è intesa come trasfigurazione simbolica di fatti ordinari che si esprimono attraverso la costituzione di un insieme di forme, necessarie per celebrare e ospitare i riti della vita quotidiana. Attraverso la macchina fotografica individua e indaga il duplice aspetto che attribuisce al significato della parola “margine”: il margine visivo nell'inquadrare un frammento del visibile, e il margine territoriale come traccia ed espressione del lavoro dell'uomo.
Nato a Mantova nel 1988, si è laureato in Architettura presso l'Università IUAV di Venezia. Ha collaborato con gli architetti Paolo Zermani, Francesco Di Gregorio e Alessandro Gattara. Nell'ambito degli Studi Visivi, ha partecipato al corso di Giovanni Chiaramonte-Dramaturgia dell'Immagine- presso l'Istituto Universitario IULM e l'Accademia NABA di Milano.
Attualmente collabora con Luca Panaro e Luca Capuano. Hanno scritto del suo lavoro i critici e storici dell'arte Arturo Carlo Quintavalle, Gloria Bianchino, Elena Pontiggia, Paolo Barbaro e gli architetti Matteo Agnoletto, Alberto Ferlenga e Paolo Zermani. Alcune sue opere sono presenti nella sezione fotografia del CSAC (Centro Studi e Archivio della Comunicazione) dell'Università di Parma. Vive e lavora a Mantova.
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